Ecco cosa scrivevo poco più di un anno fa.
Alcuni
giorni penso che tutto può ancora succedere e vedo raggi di sole fuoriuscire da
ogni ombra. Alcuni giorni chiudo gli occhi e vedo una donna soddisfatta, una
madre fiera di due bambini perfetti.
Sono
solo un madre confusa, impaurita, sconfortata e, di conseguenza, una donna
divenuta fragile. Avere i miei bimbi uno dopo l’altro, nell’arco di poco più di
un anno, è stato quanto di più forte e splendido sia mai accaduto nella mia
vita, ma anche tanto tanto difficile. Inoltre, mentre aspetti un bambino, ci
sono molti corsi di preparazione al parto, incontri con le ostetriche, con le
psicologhe, gruppi di future mamme che
condividono un cammino. Ma nessuno ti prepara mai al fatto che qualcosa
potrebbe andare storto, durante la gravidanza, il parto, e soprattutto dopo.
Nessuno ti dice mai che il tuo bambino potrebbe non essere perfetto, potrebbe
nascere con delle difficoltà o manifestarle in seguito. Ho letto ultimamente
diversi interventi di madri e padri che parlano dei loro figli diversi in alcune
riviste e mi ha fatto molto piacere, però la verità è che è sempre troppo poco
e che siamo in tanti. Mio figlio Riccardo ha tre anni e mezzo ed è affetto da
ritardo psico-motorio. Risonanza magnetica alla testa, elettroencefalogramma,
esame del DNA e visita approfondita per riscontrare eventuali problemi
all’udito hanno escluso una serie di patologie gravi o almeno riconosciute,
definibili. Ritardo psico-motorio è un insieme di sintomi, senza possibilità di sapere come evolverà e
senza una cura specifica. Fa sedute di psicomotricità e logopedia. C’è
pochissima letteratura in proposito. In breve, è in ritardo rispetto ai bambini
della sua età per linguaggio, comportamento fisico, maturità psichica, sembra
un bambino di due anni o poco più, senza che siano state rilevate le cause
oppure le possibili soluzioni.
Spesso
chiudo gli occhi e penso che quando li riaprirò lui sarà normale, parlerà e si
comporterà come tutti gli altri bambini, poi ci sono giorni come oggi, in cui
lotto contro le lacrime e la voglia di prendermela con lui per quel suo essere
diverso e non rispondere agli stimoli come ci si aspetterebbe. Ho pianto
disperata quest’estate in spiaggia, davanti ad un mare cristallino e centinaia
di famiglie rilassate al sole, guardando i bambini, l’altra mia figlia
compresa, giocare con la sabbia con secchiello e paletta, mulinello, formine e
lui lanciarli solo lontano, quasi una forza centrifuga vincesse ogni suo
proposito di giocare. Ho pianto alla prima riunione dell’asilo, quando si è
presentata ai genitori la sua maestra di sostegno, dicendo, appunto di essere
una maestra di sostegno nella sua classe ed il mio pensiero è stato che il mio
bimbo bello è l’unico tra almeno sessanta altri ad averne bisogno. Piango tutte
le sere quando, dopo aver messo a letto i bimbi, prego. Prego che Dio mi aiuti
ad essere una buona mamma, soprattutto per lui. Piango ogni volta che deve
evacuare e non ci riesce, si siede in bagno, devo intervenire con dispositivi
adatti e lui ripete “cacca” urlando così tante volte che vorrei urlare anch’io,
fino a finire la voce. E invece non posso, perché la chiave per arrivare a lui
e fare in modo che capisca ciò che gli viene spiegato e progredisca è la
dolcezza. Parlargli piano, catturare la sua attenzione, coccolarlo. E’ stato
seduto da solo tardi, non ha mai gattonato, ha iniziato semplicemente a
camminare ma, avendo saltato dei passaggi, quando cadeva o si sedeva, non
riusciva poi a rialzarsi per camminare ancora. Ha iniziato a giocare solo
recentemente, prima lanciava qualsiasi cosa gli venisse proposta lontano, non
ascoltava, non guardava negli occhi, non parlava. Il miracolo è che lui, pian
piano, pur in netto ritardo rispetto ai suoi coetanei, raggiunge i suoi
traguardi ed ora sta iniziando a parlare, a mettere insieme più parole per
farsi capire e ci riesce. E’ diventato fisicamente più sicuro, cammina tanto,
corre, salta, tenta di arrampicarsi. So che l’unico modo per stare meglio per
me sarebbe probabilmente attaccarsi con ogni forza ai suoi progressi, smetterla
in maniera assoluta di fare paragoni di alcun tipo ed andare avanti, a testa
bassa, senza mollare mai. Ma la verità è che mi sento così sola che a volte
vorrei solo riuscire a chiudere gli occhi e non svegliarmi più, per non dover
affrontare tutte le difficoltà con lui, con la previsione di un futuro incerto.
Gli altri generalmente mi dicono di non preoccuparmi, che un ritardo si
recupera e che tutto andrà a posto, i miei genitori sembrano non voler vedere o
minimizzare le sue difficoltà, gli esperti mi incoraggiano parlandomi per ore
dei suoi progressi e, allo stesso tempo, proponendomi di fare richiesta per la
legge 104, le maestre della scuola dell’infanzia sono state molto accoglienti
all’inizio, ma ora pare sia continuamente sotto analisi, qualsiasi azione
anomala compia, mi viene riferita prontamente e non sempre con il tono giusto.
Non ho trovato conforto in nessuna poesia, in nessuna parola, non mi ritengo
fortunata, mamma speciale e, in quanto tale, scelta per prendermi cura di un
bambino non facile. La verità è che mi sento solo sfortunata, molto sfortunata
e ciò che più mi fa male è il pensiero di quanto sia sfortunato lui perché
questo mondo e questa vita sono già difficili per tutti i normodotati, lo sono
molto di più per chi parte già con qualche svantaggio. E so che purtroppo non
ci potrò essere sempre io a proteggerlo, a mediare per lui il mondo esterno. E
già ora, con la maestra dedicata, ad esempio, è diverso dagli altri, cui invece
basta la maestra di tutti.
Tra
l’altro, benché sia stata io per prima a parlare alla pediatra del suo ritardo generale
e delle sue diffuse difficoltà, con l’intento di aiutarlo prima possibile e non
ne sia pentita ad oggi, devo dire che ho incontrato persone capaci,
interessate, ma anche persone inadatte a gestire situazioni così delicate. C’è
stata una neuropsichiatra infantile che, dopo averlo fatto aspettare ore,
incurante del suo disagio e del fatto che avesse solo venti mesi, gli urlava
addosso. Oppure c’è n’è stato un altro, ex primario del reparto di pediatria
dell’ospedale della nostra città che, durante una visita a pagamento, costata
parecchio, ha dedicato pochissima attenzione al bambino promettendoci
informazioni dettagliate in un incontro successivo, e molta di più a me come
donna o ai problemi che riteneva affliggessero me e mio marito come coppia,
offrendosi addirittura come terapeuta, a caro prezzo, naturalmente. Dopo di
che, mi sono fermata, ora lui fa una vita normale, non lo faccio più
controllare da molti medici, conosce la sua psicomotricista, la logopedista e
la neuropsichiatra, ci andiamo regolarmente, ha con loro un buon rapporto,
collabora. Io faccio per quanto riesco, col tempo libero che ho e con il limite
di non essere un medico, lo stesso lavoro a casa, giocando tanto, ma anche
cercando di insegnargli tramite il gioco, le canzoni, il ballo. I risultati si
vedono. Piano, sempre troppo piano. Non so che sarà di lui, che persona
diventerà, se riusciremo a superare le nostre difficoltà e a stare bene, a
rilassarci finalmente. Io, insieme a mio marito che è purtroppo spesso via per
lavoro, ed ai miei genitori, facciamo del nostro meglio perché lui sia un
bambino sereno, cresca sicuro del nostro amore perché le basi sono
fondamentali. Io cerco di non lasciarmi scoraggiare, anche se a volte soccombo,
ma spero di riuscire a tenere tutto in piedi bene e vorrei trovare il modo di
condividere la nostra storia per non sentirmi sola ed anche perché le molte
persone che attraversano un’esperienza analoga sappiano che non c’è da
vergognarsi, solo da dare ancora di più a questi bimbi speciali che hanno il
diritto di avere le stesse possibilità di tutti gli altri.