Questo blog è nato almeno due anni fa. Nella mia mente solo, in realtà. E forse riesce a concretizzarsi ora, forse no, però voglio almeno darmi l'opportunità di provarci. Origina dalla solitudine profonda, sconfinata che ho provato quando mi sono resa conto che il mio bambino era diverso dagli altri. Dall'imbarazzo che leggo negli occhi delle persone quando lui ha dei comportamenti che risultano anomali in pubblico. Dalla paura e il disagio che provo quando penso che non so come evolverà. Dalla pena che provo per lui perché so che vivere è difficile per chiunque e che la sua strada sarà di certo più ripida di altre. Dalla lotta quotidiana intrapresa con la sanità, ma anche con la scuola e perfino con suo padre. Una vicina di casa del miei genitori, che conosco da quando ero bambina e che è madre di un figlio gravemente disabile, mi ha detto un giorno: "Non scoraggiarti. Ogni mattina, ricordati di indossare l'elmo ed esci a combattere". Ecco, forse l'elmo non basta, ci vuole anche l'armatura, almeno a metà, quanto basta per proteggere il cuore, lo scudo grande, per difendere lui e sua sorella, oltre che me stessa e qualche volta anche la spada. Che non guasta. Preferisco l'idea dell'elmo a quella di molte poesie in cui madri di figli con difficoltà si pregiano quasi di aver avuto questa opportunità. Per quanto mi riguarda, sarà che il mio senso di fede è fermo al cantiere con la scritta work in progress, non mi ritengo in alcun modo fortunata, non trovo alcuna consolazione né adrenalina nell'accogliere questa sfida. Fortuna è avere bambini sani, che scoprono il mondo da soli, che imparano a camminare e parlare in tempi giusti, spontaneamente. A me è capitato lui. Meraviglioso e a tratti incomprensibile. Un passetto alla volta, con grande fatica. E l'unica speranza, l'unica forza è l'idea che, finora, non ci siamo mai fermati. E farò tutto quanto in mio potere per riuscire ad andare avanti. Sempre. Però non mi nascondo. Non lo nascondo. Non me ne vergogno. E' così, qualcosa si è inceppato in qualche punto. La gravidanza è stata splendida, io non bevo e non fumo, non l'ho mai fatto. Giordano è stato desiderato e amato. Giordano non ha niente che non vada biologicamente. Gli esiti di tutti gli esami sono in ordine. Eppure non è un bambino come gli altri. E molto probabilmente non lo sarà mai. Questa è la situazione. E da qui si parte. Con tutta la serenità di cui siamo capaci. E se qualche accenno alla nostra esperienza può servire a qualcuno a sentirsi meno solo o anche solo a sapere che da qualche parte nel mondo qualcuno combatte la sua stessa battaglia, a noi fa piacere.

domenica 27 aprile 2014

Il tuo nome

Ho sottoposto la lettura del mio blog a una persona cui sono molto legata, per ragioni che solo io e lui conosciamo, e lui mi ha risposto “Bello, ma non mi piace il nome che hai scelto, Giordano”. Mio figlio non si chiama Giordano, io non mi chiamo Emma, e, in effetti, trovo difficoltoso scrivere di lui, di noi, usando nomi che i nostri non sono, però nelle mie intenzioni c’era quella di evitare una sorta di voyeurismo nei nostri confronti da parte di qualcuno, che so, uno dei nostri amabili vicini di casa, ad esempio, che incappasse per caso nel blog e finisse per spiarci, in qualche modo.
Qualche giorno dopo, gli ho mandato un messaggio che diceva: “Allora, come vogliamo chiamare Giordano?”. Lui: “Gabriele”. Io: “Perché Gabriele?”. Lui: “Perché è il nome di un angelo”.
Bene, amico mio dolce, non so se avrò tempo, pazienza e voglia di cambiare il nome di mio figlio tutte le volte in cui l’ho scritto nel blog, però so per certo che, anche se quando ho letto il tuo messaggio, ho sorriso, in realtà non voglio considerarlo un angelo. Gli angeli si levano lievi verso il cielo. Noi siamo qui, fermamente ancorati alla terra, e alle sue regole ferree. E io voglio che lui resti esattamente dov’è. Mano nella mia mano, ad affrontare la salita che abbiamo davanti.

Venerdì eravamo noi tre in gita a Treviso, città d’acqua e di palazzi antichi, ed ha passato tutto il tempo a dirmi “Mamma, andiamo a cercare un altro mulino?”, senza minimamente considerare quello che aveva di fronte. Perché lui è così, sempre proteso verso il nuovo, il diverso, il futuro, oppure scalpitante per poter ripercorrere un passato di cui ha ricordi nitidi che non riesce a dire. Incapace di focalizzarsi nell’attimo presente perché ciò comporterebbe una capacità di stare fermo, immobile e concentrato che ancora gli manca. Lui è vitalità, emozione e io ora voglio godermi appieno la sua abilità recentemente acquisita di spiegarsi, di capirmi. Ieri abbiamo percorso tutto il giardino dei nonni annusando il profumo delle rose, dei tulipani, degli iris. Abbiamo detto qual è l’edera e quale il pino. E lui continuava a ripetere “Dobbiamo trovare un’altra pianta”. Però anche la curiosità, la voglia di scoprire il mondo è nuova, e io voglio abbracciarlo e fargli conoscere tutto quello che riesco, sperando che le sue emozioni che ora sono una torre di mattoncini di legno appoggiati a caso uno sull’altro, che traballano ad ogni minima scossa, cadono e si ricompongono alla stessa velocità, pian piano si ordinino in un quadro pieno di colori, suoni e luce.

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