Questo blog è nato almeno due anni fa. Nella mia mente solo, in realtà. E forse riesce a concretizzarsi ora, forse no, però voglio almeno darmi l'opportunità di provarci. Origina dalla solitudine profonda, sconfinata che ho provato quando mi sono resa conto che il mio bambino era diverso dagli altri. Dall'imbarazzo che leggo negli occhi delle persone quando lui ha dei comportamenti che risultano anomali in pubblico. Dalla paura e il disagio che provo quando penso che non so come evolverà. Dalla pena che provo per lui perché so che vivere è difficile per chiunque e che la sua strada sarà di certo più ripida di altre. Dalla lotta quotidiana intrapresa con la sanità, ma anche con la scuola e perfino con suo padre. Una vicina di casa del miei genitori, che conosco da quando ero bambina e che è madre di un figlio gravemente disabile, mi ha detto un giorno: "Non scoraggiarti. Ogni mattina, ricordati di indossare l'elmo ed esci a combattere". Ecco, forse l'elmo non basta, ci vuole anche l'armatura, almeno a metà, quanto basta per proteggere il cuore, lo scudo grande, per difendere lui e sua sorella, oltre che me stessa e qualche volta anche la spada. Che non guasta. Preferisco l'idea dell'elmo a quella di molte poesie in cui madri di figli con difficoltà si pregiano quasi di aver avuto questa opportunità. Per quanto mi riguarda, sarà che il mio senso di fede è fermo al cantiere con la scritta work in progress, non mi ritengo in alcun modo fortunata, non trovo alcuna consolazione né adrenalina nell'accogliere questa sfida. Fortuna è avere bambini sani, che scoprono il mondo da soli, che imparano a camminare e parlare in tempi giusti, spontaneamente. A me è capitato lui. Meraviglioso e a tratti incomprensibile. Un passetto alla volta, con grande fatica. E l'unica speranza, l'unica forza è l'idea che, finora, non ci siamo mai fermati. E farò tutto quanto in mio potere per riuscire ad andare avanti. Sempre. Però non mi nascondo. Non lo nascondo. Non me ne vergogno. E' così, qualcosa si è inceppato in qualche punto. La gravidanza è stata splendida, io non bevo e non fumo, non l'ho mai fatto. Giordano è stato desiderato e amato. Giordano non ha niente che non vada biologicamente. Gli esiti di tutti gli esami sono in ordine. Eppure non è un bambino come gli altri. E molto probabilmente non lo sarà mai. Questa è la situazione. E da qui si parte. Con tutta la serenità di cui siamo capaci. E se qualche accenno alla nostra esperienza può servire a qualcuno a sentirsi meno solo o anche solo a sapere che da qualche parte nel mondo qualcuno combatte la sua stessa battaglia, a noi fa piacere.

martedì 19 agosto 2014

E' difficile. Alle volte

Oggi in uno dei gruppi Facebook di cui faccio parte, ho trovato questo link 

https://www.facebook.com/photo.php?v=1509680885932457&set=o.1501731266716288&type=2&theater


Il messaggio è che questo bambino, pur impegnandosi, non fa esattamente ciò che la mamma si aspetterebbe da lui. O meglio ciò che la mamma si aspetterebbe da un bambino non autistico. Riporto testuali parole del commento della persona che l'ha pubblicato: 

"conoscere l'autismo e avere rispetto della sua fragilità senza mai mortificarlo, né deriderlo, né rimproverarlo. Nessuno si sognerebbe di rimproverare una persona paraplegica per il fatto che non si mette in piedi. Eppure in autismo c'è che chi si arrabbia con questi soggetti quando non si comportano in modo normo tipico."

Ecco, io vorrei che questo commento diventasse il mio mantra con Giordano. 
Perché il più delle volte io ho ben chiaro in mente che lui vorrebbe potermi dire con chiarezza ciò che lo infastidisce o gli crea disagio invece di ripetere dieci volte "acqua, voglio l'acqua", che in passato invece si manifestava come  "cacca!!!!" e poi per un periodo è stato "pipììììììì!!!!" e quindi gli parlo con dolcezza, lo distraggo, cerco di fare in modo che mi dica o di capire io cosa lo turba, però delle volte esplodo. Perdo la pazienza. Vorrei solo che smettesse di ripetere cento volte la stessa frase, facesse quello che gli chiedo senza farmelo ripetere mille volte. Stamattina, ad esempio, gli devo aver chiesto dodici volte di abbassarsi i pantaloni e fare pipì. E lui mi guardava fisso davanti al water e non c'era modo che lo facesse. Allora io mi sono innervosita, ho alzato la voce, lui è scoppiato a piangere e. alla fine, eravamo mortificati entrambi: lui perché di certo si sentiva in difetto per non aver assolto alle mie aspettative, io perché certi giorni vorrei che fosse facile almeno qualcosa e difficilmente lo è. Lui poi piange con tutto quel suo corpicino minuto e io vorrei chiudere gli occhi e morire all'istante perché penso che non sarò mai abbastanza brava, paziente, amorevole per un bimbo come lui, che mi si affida totalmente al punto che fa la cacca solo con me, ultimamente, se il nonno gli propone di andare a fare un giro in bici, lui di che che deve venire anche la mamma. Caro, tesoro bello. Mi dispiace, ma sono umana. Penso che con il lavoro, la separazione in corso, lui e sua sorella non potrei dare più di quanto già do. Poi mi dico che sono solo scuse, che si può sempre dare di più. Soprattutto a loro, che sono la mia vita. Soprattutto a lui, che ne ha così tanto bisogno.

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